Apro questo angolino dal nome semitetro perchè in molti mi hanno chiesto come mai non avessi un mio blog aggiornato. Per farli contenti, insomma! Sarà anche che ad un certo punto sento l’esigenza di un posticino dove conservare pensieri vecchi … Continua a leggere →
Stasera mi è presa un po’ di malinconia per le “cose” lontane, per tutto ciò che mi manca. Così ho trovato questa, scritta una delle tante volte che mi sono ritrovata a guardare Napoli con gli occhi dell’affetto della casa, ma anche con quella del turista. È una strana sensazione quella dell’appartenere non appartenendo.
Mi piace la metro più bella d’Europa che passa ogni 10 minuti, ma senza orario
esposto, sicchè è tutto a sorpresa e in ogni caso devi correre. Mi piace la metro di superficie che va a due all’ora, chianu chian’ pe te fa vedè o mare. le facce tutte diverse Le mille lingue che si parlano Mi piacciono i colori e gli odori mischiati La confusione enorme. I quattro palazzi, le strade eleganti, i quartieri spagnoli. Mi piacciono le vecchie per la strada Corte corte, mentre camminano sotto braccio e parlano dei fatti loro. Mi piace chi si saluta da un balcone all’altro,
i panni stesi a sventolare. L’odore di pesce e quello del mare. Le fritture, le sfogliatelle. Il sapere a occhi chiusi che a sinistra, ovunque ti trovi, c’è il profilo più disegnato del mondo. Mi piace chi si ferma ad aiutare Il capannello che si fa intorno a uno che sta male. Mi piace che non funziona niente bene, ma tutto funziona lo stesso. La battuta sempre pronta, lì dove si dovrebbe piangere. Mi piace chi si dà sempre da fare Chi si affatica nella sfaticammarìa. Chi parte e chi arriva e ogni volta ci lascia un pezzetto, ne prende un altro Sta città è un enorme mercato al baratto
Il treno corre, mi fermo a guardare Me piglia nu poco de malincunia S’arriccia nelle ciglia una lacrima storta Non sono morta, sto andando via .
Sapete perchè questo è il libro più bello del mondo?
Perchè aiuterà tanti animali in difficoltà!❤
Se qualcuno ama la poesia e ama gli animali vuol dire una cosa soltanto: è una persona sensibile alla Vita costantemente al volante di quella macchina umana che è il solo mezzo per cui l’anima e la mente si connettono con il mondo.
Macabor Editore ha accolto con entusiasmo l’idea di un libro di poesie d’amore per gli animali che oltre al piacere di una buona lettura potesse poi contribuire a una nobile causa. E’ nata così “Bellezza senza vanita’. Poesie d’amore per gli animali” (a cura di Claudia Manuela Turco), un’antologia di molte voci poetiche (Dacia Maraini, Milo De Angelis, Alessandro Fo, Elio Pecora, Paolo Ruffilli e tante altre tra cui anche la mia).
Con i proventi del libro, infatti, sarà possibile aiutare molti animali in difficoltà, sostenendo il “Parco Rifugio” di Udine.
Appoggiare questa nobile causa è facile: basta acquistare il libro, richiedendolo all’indirizzo email di Macabor Editore: macaboreditore@libero.it (una copia costa 15 euro). Naturalmente, sarà possibile che venga convogliato in direzione del Parco Rifugio solo il ricavato delle copie acquistate direttamente presso l’editore).
Avrai una nota del cellulare piuttosto Che una penna per scrivere dei versi Trovare la quadra della tua giornata Dopo ore in un cubo bianco di circuiti E forse a questo si riduce la vita Di uno prossimo ai quaranta Che non ha provato a campare Col solo suo pensiero battuto sulla carta. Qui, dagli anni 80 é tutto. A saperlo che nel ventiventi avresti avuto Un desiderio e la mente vuota da tutto Quell’affanno di parole che sgomitolerai per anni. A saperlo… Dagli anni 80 é tutto, si chiudono i battenti Il bar delle parole è vuoto. Il futuro ha parlato chiaro di un lavoro dignitoso Dello stipendio da portare a casa Del sogno che resta nel cassetto Della forza di combattere che dimenticherai. Eri nato per grandi cose Un bicchiere impolverato cade Gracchia ultima la saracinesca nella notte.
Il 5 e 6 Settembre a Palermo c’è questa bellissima iniziativa a cui il mio editore partecipa. Tra le novità editoriali della casa editrice, trovate anche la mia ultima fatica di cui scommetto non ricorderete il nome!!! 😀 io non potrò esserci, siateci voi!
La presenza in questa raccolta poetica di Roberta D’Aquino di un “tu”, sostanzialmente ambiguo, sposta di continuo il termine di riferimento, di volta in volta identificabile (e in prevalenza) con l’uomo amato, o con una donna ( “ho scrutato i tuoi occhi truccati da gatta”), o con la poesia (“fiamma e stoppino insieme / nella cera albergata tra le mani”) o ancora con un “io” che, per empatia, si sovrappone al lettore.
Una tale ricchezza e mobilità emotiva sono di fatto le cifre connotative di un poetare che procede per episodi memoriali, i quali assumono una loro liquida continuità grazie alla musicalità che li sorregge e ad un comune processo di demateralizzazione, quasi che persone, luoghi, eventi appartengano ad una dimensione onirica.
Spesso nel silenzio notturno realtà e immaginazione si mescolano, la memoria travasa continuamente i vari segmenti temporali l’uno nell’altro, così che il passato torna a farsi presente attraverso un repentino passaggio dei tempi verbali, mentre intanto la descrizione si sposta dallo spazio esterno a quello interno della propria casa e da questo all’altro più vasto e affollato del proprio sé, a cui sempre è ricondotta ogni cosa, tant’è che si potrebbe dire che la poesia costituisca per la D’Aquino uno strumento di interiorizzazione del mondo.
Pure in questo oscillamento spaziale si possono individuare diverse città, fra le quali: Napoli, dove l’autrice è nata, (“Dormire come il golfo tra gli intrecci delle reti”); Treviso dove vive e lavora, (“Venivo da un paese lontano … nuovo popolo con i suoi pensieri di nebbia / con la lentezza dei fiumi, la dolcezza dei campi … Venivo e mi sentivo straniera / inascoltata”; Venezia (C’erano mille scale e mille ponti / e tetti di tegole aguzze, e mattoni rossi / e l’acqua, sempre l’acqua, ovunque.). In tutte domina l’acqua, che sia il mare, il fiume, la laguna, (ma anche, come in altri testi, la pioggia e l’umidore dei corpi): l’acqua che scorre come il tempo e la memoria del tempo secondo quel flusso di coscienza di sapore joyciano, a meno che essa (l’acqua-memoria) non si ingorghi frantumando e slegando frammenti di ricordi, facendo gocciare ad una ad una le parole per raccontarli: “un istante. di grazia. la grazia. la quercia. la cura. nuda.”
La poesia s’incunea nella paura della perdita (“l’addio posto ad apice della felicità”) rielaborando e trasfigurando, così che, nonostante il prorompere talvolta violento della realtà, l’autrice possa sempre ricondurre ogni cosa al proprio sguardo-θεάω (occhi e bocca sono gli elementi corporei più frequentemente citati, come dire che l’esistere è un teatro raccontato dalle parole), in modo da sostituire alla raffigurazione la trasfigurazione. La vicenda biografica dell’autrice appare, dunque, come in filigrana, privilegiando più che i contenuti-eventi, le tracce rimaste, quasi un distillato di emozioni che assumono le forme e il ritmo di versi sempre finemente lavorati, ubbidienti, innanzitutto, all’esigenza del suono.
È la stessa D’Aquino a indicare questa via di lettura nell’esergo tratto da un testo poetico di Vittorio Sereni, che dice: “Non saremo che un suono / di volubili ore noi due/ o forse brevi tonfi di remi / di malinconiche barche”, in cui possono rintracciarsi tutti i nuclei portanti del suo poetare: il suono, il tempo, la sua volubilità e brevità, il mare, l’amore.
Franca Alaimo
Franca Alaimo è nata nel 1947 a Palermo dove vive. Esordisce come poeta nel 1989 con Impossibile luna (Antigruppo siciliano). Seguono le raccolte: Lo specchio di Kore (1996, Tracce), Il giglio verticale (pref. M. G. Lenisa, 1997, Bastogi), Il luogo equidistante (1998, Laboratorio delle Arti), Il messaggero del fuoco (1999, Thule), Samâdhi (2000, Bastogi), Magnifici dispetti (pref. N. Bonifazi, 2001, Helicon), Giorni d’Aprile (2002, Thule), Lo splendore imperfetto (pref. F. Loi, 2005, Thule), Corpo musico (2007, Il Bisonte), Amori, Amore (2009, La lampada di Aladino-The Lamp Art Edition), 7 Poesie (2011, Il Bisonte), Alejandra es aquí (2010, Editorialdeloimposible), Sempre di te amorosa (2013, LietoColle), Come ninfee (con S. Strapazzini, 2015, Girovaghe dell’anima/4), l’antologia Fil rouge (2015, Ed. CFR), Sorsi (2015, e-book La Recherche). Con il romanzo breve L’uovodell’incoronazione (Serarcangeli) esordisce nella narrativa. Ha tradotto le raccolte di Peter Russell: Le lunghe ombre della sera (Il foglio Letterario) e Vivere la morte (Paideia). È autrice di saggi sulla poesia di numerosi autori.
“L’habitat naturale della poesia di Roberta D’Aquino, giunta con questa silloge alla sua seconda prova dopo “Il senso sparuto del vuoto”, sembra essere un paesaggio turbolento, soggetto a continui mutamenti atmosferici, annuvolamenti repentini e improvvise, larghe schiarite: «C’erano mille scale e mille ponti / e tetti di tegole aguzze e mattoni rossi / e l’acqua, sempre l’acqua, ovunque» (XV). A voler azzardare una definizione meno impressionistica, si direbbe che “Un istante di grazia” è un libro sul tempo, raccontato nella pienezza delle sue diramazioni semantiche e connotazioni introspettive, dal tempo atmosferico alla malinconica accelerazione del ‘time-lapse,’ passando per il «tempo morto» (XXXVI) in cui pensiero e parola vedono la luce. Aggirandosi in profondità tra residui del passato e barbagli di vita futura, la poesia di questo libro nasce postuma, dopo un’esperienza d’intensità emotiva che travalica sé stessa, scompagina il prospetto delle cose, mina l’articolazione stessa della parola.”
ix
Fu solo un istante di grazia un istante. di grazia. la grazia.la quercia. la cura. nuda. un istante di grazia l’averti nel letto le braccia. i fili d’erba. i quadrifogli. Avevi le mani nell’alba avevamo occhi di sandalo e malva avevo due cuori e il bianco del sole poi i sassi. troppi sassi. le scarpe piene di sassi Tutto tace. la grazia tace. domani il bianco si sporca. che fai? duri ad angoli nuovi la mano sul petto? giuri verità di cristallo sulle guglie del tempio? Tutto tace. Il cremisi della tua bocca si spegne. Perdo consistenza nel dondolio del dolore. i pazzi. i camici bianchi. cadono pezzi dalle mani. mi affanno a raccogliere i pezzi. non ci sono che pezzi.
xiii
Non so più di te, di me di questo andare scalzi nel tempo
xxi
Nevica sui tulipani, sugli alberi rinnovati. Nevica sulle rondini in volo. Ristagna la primavera un letargo forzato, le parole
che seccano grevi sotto le gemme. Bisognava cogliere il fuoco prima del gelo rinato, dello stivale nel pantano lasciato da quel tuo passo sporco – sembra- un poco affrettato l’impronta di un sole subito spento
xxxiv
Quello che non ti ho detto è che andando mi hai scavato profondissima la miseria in corpo l’hai pittata blu come la nostalgia l’hai fatta sembrare il mare che non vedo più quando mi affaccio
e ora che ho girato la lingua dal lato della nascita, sento le parole come parlate volgari spuntare da una nassa
Non c’è felicità più grande che tornare ad assaggiarti
xxxvii
Tenersi il cuore tra le mani questo sì, bisognerebbe a volte quando la sera si sta in silenzio nella tv che stride color lavagna
Spegnerla o non ascoltarla
Invece guardarlo con l’abbraccio negli occhi – bagnarlo, sì di una piccola tonda commozione
–non è un pugno animoso non è una pietra che batte il cuore è un organo forte–
Allora potresti vederlo tremare o sentirne il respiro più veloce tenerlo tra le mani e ogni tanto ri-cor-dare la pace che gli spetta
Infine sapere perché è un organo d’amore perché si dice crepa-cuore qual è il significato di cor-doglio quando una vita cara lasci
E’ tanto tempo che non aggiorno il blog e so – ne sono certa – che vi sono mancata moltissimo! che non potevate proprio fare a meno dei miei articoli e che quindi avete girato e rigirato nel blog come in un labirinto da cui non volevate davvero uscire imparando a memoria ogni singola parola presente! XD così sono tornata per alleviare le vostre pene!
Cosa sarà successo in quasi due anni di apparente inattività?
ebbene… non è stata del tutto apparente! ma anche se non mi sono data ad eventi mondani, superpresentazioni, festival and so on, qualcosa è successo (guardare collage!!):
poco meno di un anno fa è nato un fratellino piccino picciò di SensoSparuto che ho chiamato Istante, per la precisione “Un istante di grazia” (ed. Il Convivio). E’ venuto per caso… coi secondi capita (:P)… ed è stato un grande succes… eh no, Regalo! Un regalo perché la poesia è dono ogni volta che torna, un regalo perché la postfazione è stata curata da un amico che stimo così come l’immagine di copertina è di un amico che adoro, un regalo perché Franca Alaimo mi ha regalato una sua recensione, un regalo infine perché a volte dimentichiamo chi siamo ma poi tornano le parole a ricordarcelo.
Ma andiamo con ordine:
A fine 2018 ho la “malaugurata” idea di partecipare ad un concorso che prevedeva l’invio di una silloge inedita per la pubblicazione. Il concorso era organizzato dall’Accademia internazionale “Il Convivio“, anche rivista culturale e casa editrice.
Mica avevo già la silloge… avevo pensieri sparsi, raccolti negli ultimi due anni, qualcuno mi convinceva, qualcun altro molto meno e all’inizio non sapevo nemmeno se sarei riuscita a trovare un filo che li unisse. Invece il filo si è materializzato testo dopo testo come la rete di una ragnatela e ho inviato.
A inizio 2019 Sebastiano Adernò lanciava un bellissimo progetto dal nome “Per una botanica della poesia” e io partecipavo con Controluce e d(‘)intorni che per l’occasione è diventata un disegno, una cartolina, un audio.
Per lo stesso progetto, presenziamo al “Festival della poesia verde” di Samuele editore ad aprile dove vado coi compagnucci miei a presentare il progetto e a leggere qualcosa.
Arriva giugno e scopro che quel filo tessuto in fretta aveva dato vita a qualcosa che alla giuria del premio di cui sopra era piaciuto! squilli di trombe, tamburelli, menestrelli!!! si parte per Catania! quella trama aveva vinto la pubblicazione! e così è stato che per buona parte dell’autunno si è lavorato alla bozza, con l’ausilio grande del mio editore, che si è trovato il postfatore, tale Furnari, ormai amico da una vita, che la copertina nasce da uno scatto di tale Putignano, amico più “nuovo” ma non per questo manchevole dei requisiti giusti per essere chiamato Amico!
Nel frattempo cerco di imparare a usare una reflex con scarsi risultati, viaggio avanti e indietro dagli USA per lavoro, mi libero dalle mie catene mentali e faccio la mia prima vacanza in solitaria solcando le acque del Mar Egeo.
Vengo ospitata sull’ e-zine di Lucia Cupertino La macchina sognante con quelli che saranno alcuni dei versi che ritroverete poi in Un istante di grazia e collaboro con la rivista Digressioni con alcuni testi. Digressioni a un certo punto decide di diventare anche editore e esce, tra le altre, l’antologia poetica Soglie in transito che contiene anche miei inediti e che potete acquistare sia in cartaceo che in ebook.
Rinasco, comincia il 2020, scribacchio versi, arrivano il covid e il lockdown, rimuoio e rinasco, cambio lavoro e città e ora sono qui a raccontarvi che, finalmente, sto di nuovo per andare in ferie!! E che prima di salutarvi aggiornerò il blog con queste piccole novità e con alcuni testi dell’ultimo nato. Lo so, sprizzate giuoia, siete di nuovo vivi dopo tutto questo!
Allora buona estate cari internauti!! see you soon or more or less… but anyway… see you, for sure!
Era collocato a destra della porta il cesto
degli ombrelli. Due, uno dimenticato da qualcuno
in epoche remote, l’altro comprato quel giorno
che in piazza a Caserta venne un acquazzone
proprio mentre dovevamo andare.
Fu felice l’uomo giunto su un barcone
dei cinque euro guadagnati. Io meno
pensavo si sarebbe rotto il tempo stretto
di arrivare a casa. Invece sopravvive ancora
fa il suo duplice lavoro:
tiene la testa asciutta quando serve
e mi ricorda il lungo abbraccio alla stazione.
Fu il primo e per ora l’unico così, ma quando dissi
che ti ho voluto bene ancora prima di conoscerti
pensavo agli abbracci che avrei voluto darti
prima di quello e dopo
L’affetto non si decide, avviene
e spesso sosta a destra della porta, profondo
il tempo che basta per asciugare la perdita
per accogliere la pioggia dell’avvento in una sera
o in un mattino in cui ci si ferma a pensare
– come fanno i vecchi- che si stava meglio
quando si stava peggio
In riva al fiume oggi mescoliamo tutti gli affetti
con la birra in mano. Da tramonto diventa
notte senza avvertire e il cielo rompe
gli indugi con un lampo forte. Cade una goccia
è come un risveglio. È ora di andare.
La notte parla il silenzio dell’imbarcadero
deserto. Ci taglia lo sguardo un pipistrello.
Portiamo noi la pazienza e la tenacia di chi
i legami li tesse filo a filo con le mani
e poi se li porta in giro per il mondo.
Sembra un lavoro antico. Per questo
non ci perderemo: a mille distanze
ciascuno sotto il proprio ombrello
avremo un richiamo per ogni raggio intero
o spezzato dal vento. Una casa
mobile.
“Non si è mai vista un’estate così” dicono tutti. Lo dico pure io ma non è vero. Stamattina questi tuoni che mi svegliano mi portano alla mente quelle giornate di infanzia, di forse trent’anni fa, in cui temporali ne faceva eccome e noi bambini, in una semplicità e innocenza ormai perduta (e perduta per sempre non solo da noi, ma dal mondo), riparavamo sotto i terrazzini delle case sfitte o già chiuse per l’inverno.
Si sceglieva un villino al primo piano, perché quelli al piano terra non riparavano abbastanza. La bici si lasciava accostata alla siepe di recinzione e cominciava l’avventura: si scavalcava il cancelletto basso, tutti fradici di pioggia, come pirati all’arrembaggio di un veliero o naufraghi su un’isola deserta, si attraversava il giardino, si salivano le scale fino alla conquista della vetta. A tre, quattro di noi, seduti a terra sporchi e bagnati, ci raccontavamo storie inventate. A volte ci portavamo le carte. Le mamme non potevano chiamare per sapere dove fossero i propri pargoli adorati. Poi spioveva, magari dopo ore, e si tornava alle case. Zuppi. “Dove sei stato, disgraziato! Con questa pioggia!”. L’asciugamani già pronto in mano per frizionare i capelli. Le lumache enormi che facevano capolino sui muretti. Le madri operose che si disperavano per la giornata di sole perduta, per l’acqua arrivata fin dentro casa, per il lavoro da fare a ripristino. Tira fuori le sdraio, asciuga il pavimento, rimetti a posto tutto.
Sì, ci sono state estati così… Ma gli adulti rimuovono subito e i bambini nemmeno si accorgono.
Antonio lo ricorderebbe, lui che adulto non è diventato mai. E, a pensarci bene, lo ricordiamo tutti, noi, prima generazione del Carrao. Noi con le radici di liquirizia da seccare, noi dei rospi nella piscina comunale, noi delle invasioni alla riviera, della paura di Baffo e degli scappellotti di G. Noi delle passeggiate al fiume che sembrava lontanissimo, delle piogge e degli arcobaleni, di quel tempo lontano eppure così vicino. Noi che “Anche solo un giorno”, noi con i bambini, con la voglia di restare, con la nostalgia di mille altri “noi”.
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Ti sarei infinitamente grata se mi chiedessi l'autorizzazione che in alcun modo ti negherei! :)
Grazie e buon viaggio!